La terra che li ha generati li spinge all’esilio. La terra che loro vorrebbero vivere non li accoglie. Chi sono? Non è importante, non interessa a nessuno. Conta solo dargli un nome come insieme, come folla. Profughi, clandestini, migranti e a volte, purtroppo, naufraghi. E poi cos’altro sono? Sognatori, forse, di sogni antichi come il loro retaggio. Ma senza dubbio queste persone sono folli. Folli a credere in vite migliori, in posti confortevoli dove poter lavorare onestamente e invecchiare circondati dai propri affetti, folli a pensare che l’occidente sia la soluzione e non il problema. E “Follia” è infatti il nome della loro nave che, malgrado tutto, proverà a traghettare le loro anime da una sponda all’altra di un mare che forse non è mai stato “Nostrum”.

Quest’opera monumentale di Mirkò si presenta come un polittico. Cinque grandi tele che compongono una scena complessa, dalla forte simbologia, sia velata che esplicita. Il quadro centrale è il cuore della narrazione. L’imbarcazione è stracolma, uomini e donne stremati dalla navigazione, resi insani di mente dal sole e dalla sete. Alcuni sono animali  o in preda alle allucinazioni vedono se stessi come tali. L’insieme richiama vagamente “La zattera della Medusa” di Gericault o alcune rappresentazioni medioevali del naufragio della Nave Bianca. I due quadri laterali simboleggiano due continenti, ormai multietnici, con le donne gravide a colori invertiti, ma incapaci di esserlo fino in fondo. Sono le stesse donne, infatti, mogli, figlie e madri, a spingere e respingere la nave nel mare. Nel quadro in basso, unito pittoricamente a quello centrale da un’ancora, simbolo di salvezza, vi è rappresentato un Leviatano, mostro ancestrale degli abissi marini, pronto a divorare gli sciagurati che cadono in mare. Una mano bianca tiene aperte le sue fauci, forzando la natura dell’animale, costringendolo ad inghiottire in maniera perpetua, anche oltre la propria fame. Chiude il polittico il quadro in alto, nel quale una immensa colomba vola libera sulle stesse terribili acque, portando ovunque i simboli universali della pace.

Francesco Collano